Esposizione:
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"Eugenio Riccòmini ha notato che nell'opera di Wolfango "lo stile non c'è". Questo non significa che Wolfango sia un pittore tutto istinto e talento, privo di una consapevole intenzionalità artistica. Il ripudio di ogni schema predeterminato, di ogni filtro intellettualistico tra i segni e le cose, si configura come una lucida sfida, condotta attraverso le risorse di una mostruosa abilità tecnica, al dogma avanguardistico e postavanguardistico della convenzionalità del significante."
"I suoi disegni sono la traccia, affidata al mezzo "povero" del carboncino, di un amoroso e furioso corpo a corpo con le cose, scavate in ogni più nascosta piega, indagate in ogni grinzosità, porosità o screpolatura della materia: rose in boccio o spalancate, frammenti di noci e di arachidi, agli sgranati, melograne aperte, oggetti minimi della quotidianità ingigantiti nelle dimensioni come per potenziare le risonanze visive e tattili dell'esplorazione.
E il segno del carboncino, di volta in volta rapido o analitico, nervoso o disteso, denso o impalpabile, conserva l'energia del gesto che lo ha tracciato, a segnalare la reciprocità del rapporto con le cose: non una riproduzione passiva di impulsi ottici, magari mediata dalla fotografia - come spesso avviene fra i "figurativi" attuali - ma un dialogo che coinvolge insieme e totalmente la mente, l'istinto, il corpo dell'artista, nell'intento - apparentemente forte per un pittore contemporaneo - di riafferrare tutta la fragranza e la consistenza di quello che i nostri sensi ci dicono essere il mondo «reale»".
"E la gelosa fedeltà dell'artista ai dati dell'esperienza sensibile riacquista il suo antico significato di protesta contro la morte delle cose, di esaltazione della loro deperibile e preziosa bellezza."